Disincentivare il consumo di carburanti fossili e puntare sull’innovazione tecnologica: i dettami di un eco-scettico padre dell’auto elettrica

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photo credit: eschipul via photopin cc
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Ridurre i consumi di carburante obbligando l’industria a vendere auto sempre più piccole e spartane è come combattere l’obesità costringendo il mercato dell’abbigliamento a vendere solo abiti di piccola taglia”.

Questa è stata una delle tante immagini colorite evocate da Bob Lutz durante il SAE World Congress tenutosi giovedì 18 aprile a Detroit, USA a proposito del mercato dell’auto americano.

Lutz è una celebrità dell’industria automobilistica USA: più volte tra le prime cariche dirigenziali di General Motors, ha lavorato anche con marchi europei (BMW), girando ai vertici di aziende quali Ford e Chrysler nella sua carriera. Noto come padre della Volt, l’elettrica extended-range di GM, è uno dei guru della mobilità elettrica, avendo definito già nel 2008 l’elettrificazione dell’auto un processo inevitabile.

È però altrettanto famoso per essere un incrollabile scettico nei confronti del Global Warming, convinzione che lo espone a critiche feroci: la sua politica in merito all’auto elettrica è esplicitamente ispirata allo svincolarsi dalla dipendenza dal petrolio più che dalla riduzione delle emissioni di CO2. Proprio in contrapposizione ai rigidi regolamenti imposti dalle agenzie governative, Lutz arrivò a dimettersi dalla sua carica in GM nel 2010 anche per via, a sua detta, della costrizione ad inseguire le normative climatiche più che i desideri dei clienti – dimostrazione che in tutto il mondo i rapporti tra industriali e politiche ambientali non sono rosei.

Punto che può essere curioso ai nostri occhi, dall’intervento di Lutz, ripreso da varie testate di settore, traspare l’ammirazione per le scelte europee sulla tassazione dei carburanti e sul loro costo al pubblico, additate come esempio ambito ma non ripetibile in America.

L’ottica con cui oltre oceano si guarda ai problemi dell’industria automobilistica ed alle leggi che la riguardano, di governo come di mercato, possono costituire uno spunto di lettura anche per la realtà europea, al momento meno improntata a spingere la mobilità alternativa di quanto non lo sia (almeno a parole) quella statunitense: le idee di Lutz sicuramente non sono universali e partono da posizioni discutibili – non è il mio intento né sostenerle né confutarle – ma può essere interessante cogliere alcuni dei concetti espressi (ognuno poi decida se cestinarli o tenerli nel cassetto).

 

Gli argomenti del discorso di Lutz sono tre: la necessità assodata di produrre e far comprare veicoli sempre più efficienti e meno costosi, di guardare a questo scopo ad elettrico, ibrido e diesel nella giusta ottica e di considerare le tasse sui carburanti un buon metodo per spingere la gente a scegliere auto ecologiche o trasporti pubblici.

Per mettere in pratica le sue idee, chiosa Lutz, dovrebbe essere nominato “imperatore dell’industria automobilistica”: solo un sovrano assoluto non dovrebbe preoccuparsi di raccogliere consensi per la sua rielezione, riconoscendo alle sue proposte una certa dose di inattuabilità.

L’Imperatore Immaginario Lutz parte evidenziando quanto sotto il naso di tutti: la gente non compra auto più piccole che in passato, non fa ancora abbastanza caso alla loro efficienza e, quindi, non risparmia. Ed è la mentalità nei confronti dei carburanti che non funziona, perché la gente, a priori, fissa idealmente un proprio budget di spesa per il carburante e continua a spendere in tal misura, in barba all’efficienza dei consumi.

Secondo il top manager americano la via più sicura per cambiare le abitudini del mercato è la disincentivazione economica. Quando si vuole rendere poco accessibile un bene, magari superfluo, lo si rende più costoso (in Italia, al momento, sembra la tattica adottata nei confonti di tutto quanto sia “rinnovabile” ed “alternativo”): qui Lutz critica l’apparato legislativo USA su consumi ed emissioni, troppo farraginoso e reo di non colpire il problema affrontandolo dal giusto lato.

La soluzione vera sarebbe un innalzamento graduale delle tasse sui carburanti, modo efficace per ottenere del gettito extra senza che l’utenza lo percepisca come un salasso: un incremento annuo ipotizzato di 25 centesimi sarebbe nulla se confrontato con l’attuale schizofrenia dei prezzi alle pompe di benzina (negli States), a patto di usare il ricavato per migliorare le infrastrutture viarie e convertire il parco mezzi.

Rendere più efficienti energeticamente le auto e rarefarle sono le chiavi di volta: avere grandi strade e non poterle usare perché congestionate dal traffico è inutile.

L’Europa, in virtù della tassazione più forte sui carburanti, è additata come esempio di rara coesione decisionale, irreplicabile negli USA per le spaccature politiche interne: un parere che nella stessa UE potrebbe essere condiviso giusto laddove le tasse restituiscono ai cittadini servizi efficienti. Che poi questo aiuti lo sviluppo di una mobilità alternativa, può essere vero solo nei rari casi di quei Paesi che contemporaneamente incentivino molto le energie pulite.

Fatto sta che in questa disamina americana, gli Stati Uniti avrebbero bisogno di un decennio circa per rendere le loro infrastrutture prive di problemi e rendere generalmente efficiente il parco auto circolante.

Lutz affronta anche le tecnologie: non vede nel diesel una prospettiva, non perché “cattivo” ma perché non conveniente negli USA, dove gli stessi motori ritenuti “a norma” in Europa hanno bisogno di ulteriori adeguamenti per rientrare nei parametri più rigidi in vigore oltre oceano, con il risultato di costare di più; sulla loro efficienza nulla da dire, ma questi extra costi ed il prezzo del diesel stesso, più caro della benzina, ne compensano i benefici.

In effetti sul mercato USA sono molto più diffuse le auto con tecnologia ibrida benzina-elettrica: proprio questa rappresenta la strada più percorribile, nell’idea di Lutz, per aumentare realmente l’efficienza dei trasporti.

Se, da un lato, ammette che un paio d’anni fa le aspettative nei confronti della mobilità elettrica erano entusiasticamente gonfiate, dall’altro rileva che proprio le nuove tecnologie sono quanto non possa essere trascurato: materiali super leggeri ma ultra resistenti, l’esasperazione dell’aerodinamica e l’ibridazione dei veicoli sono strade maestre per lo sviluppo. L’elettrico puro rimane un’alternativa, tangibile ma non totalizzante nell’immediato futuro: tutta l’industria sa che gli EV hanno il loro spazio nell’automobilismo ma anche che i numeri, al momento, sono molto piccoli in rapporto al totale.

Lutz afferma pertanto che, su una produzione globale annua di 70 milioni di veicoli al mondo, un buon passo avanti sarebbe il raggiungimento del 10% in elettrico nei prossimi 10 anni ed un 20-30% in 15-20 anni: molto dipenderà dallo sviluppo di nuove batterie che non facciano più sentire il bisogno di un motore a combustione anche nei viaggi più lunghi.

Infine nomina anche i trasporti pubblici: tornando a parlare della realtà europea come di un esempio, indica quella del potenziamento dei collegamenti ferroviari e su gomma per le masse di pendolari come via parallela per nulla in antitesi con il possesso dei mezzi privati, il cui uso sarebbe invece reso più agevole se almeno gli spostamenti urbani venissero assorbiti maggiormente dal TPL.

In quest’ottica, vale a dire nell’intento di rendere davvero fruibili le arterie stradali e di far diminuire il consumo di carburanti derivati dal petrolio, l’uso dei mezzi pubblici ha davvero molto senso anche per la mentalità americana, culturalmente improntata verso l’uso della propria, potentissima auto per solcare le miglia e miglia di Highways che collegano i diversi Stati.

Alla fin fine, sebbene il punto di partenza dei ragionamenti di Lutz sia di natura prettamente economica e fortemente critico nei confronti delle regole imposte ai produttori in difesa dell’ambiente – non tanto perché la CO2 non sia un problema ma perché queste regole sarebbero più un’arma politica ed economica che altro – un punto di congiunzione tra le due visioni del futuro dei trasporti, a mio parere, esiste.

Chi pone il clima come centro di gravità attorno al quale far ruotare le scelte dell’industria ha probabilmente tanta ragione quanta ne ha chi vede la ragione economica e lo sfruttamento dell’energia come unica legge: che sia l’ecosistema a sgretolarsi o l’economia di un Paese, entrambe le fazioni non raggiungerebbero quell’obbiettivo, il prosieguo di un’esistenza agiata e prospera in questo mondo, che solo il rinnovamento delle tecnologie, dei trasporti e della mentalità con la quale li si usa può garantire.

E le strade indicate da entrambi i lati, le si chiami come si vuole, finiscono per coincidere sempre.

 

Andrea lombardo

Fonte: da un articolo di Sebastian Blanco apparso su AutoblogGreen

 

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