Nuovi materiali per le batterie: lavori in corso

di Gianni Lombardo
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Riccardo Ruffo, professore associato e ricercatore del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università di Milano Bicocca
Riccardo Ruffo, professore associato e ricercatore del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università di Milano Bicocca

L’autonomia ha sempre rappresentato un punto nevralgico in grado di condizionare lo sviluppo della trazione elettrica, per cui l’obiettivo di disporre di batterie con maggiore efficienza, capaci di immagazzinare quantità di energia superiori, caratterizzate possibilmente da tempi di ricarica più brevi e di minor costo, è diventato prioritario.

Negli ultimi tempi la ricerca ha aumentato il suo impegno proprio in queste direzioni moltiplicando gli sforzi nella progettazione e sperimentazione di nuove combinazioni chimiche, nella valutazione del contributo che può derivare dall’introduzione di materiali innovativi o dell’utilizzo delle nanotecnologie. Di tutto ciò abbiamo parlato con Riccardo Ruffo, professore associato e ricercatore del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università di Milano Bicocca che fa parte di un gruppo di ricerca che lavora da anni sia nel settore delle batterie ricaricabili sia in quello dei materiali elettro-ottici. Gli argomenti toccati saranno poi oggetto di specifico approfondimento nei prossimi numeri della nostra pubblicazione.

 

Prof. Ruffo può brevemente illustrarci il campo di attività su cui il vostro team opera e quali sono le ricadute in termini di applicazioni per il settore dell’autotrazione?

Il nostro gruppo di ricerca si occupa di progettare e caratterizzare materiali che possono trovare applicazioni come elettrodi in dispositivi per l’accumulo dell’energia o in dispositivi elettrocromici, cioè in grado di modificare le proprietà ottiche (colore) in funzione del potenziale applicato. Entrambi questi settori di ricerca possono trovare applicazione in autotrazione. Nel settore delle batterie ricaricabili, infatti, il maggior impulso alla ricerca in questo momento viene proprio dall’applicazione ai veicoli ibridi e al full electric la cui piena implementazione e successo sul mercato dipendono da fattori quali l’aumento delle prestazioni (energia e potenza della sorgente) e la diminuzione dei costi. I dispositivi elettrocromici, invece, possono essere implementati in autotrazione per migliorare il comfort grazie al loro uso negli specchietti retrovisori o come “smart windows”, cioè dispositivi trasparenti in grado di oscurarsi o meno in modo rapido in funzione dell’intensità della radiazione solare.

Figura 1

Dispositivo elettro-cromico sviluppato nel progetto europeo Innoshade. Il dispositivo (dimensioni di un foglio A3) ha uno spessore di pochi millimetri, è flessibile, trasparente ed è in grado di cambiare colore in pochi secondi

 

L’utilizzo di batterie al litio ha segnato negli ultimi anni una svolta importante per lo sviluppo dei veicoli elettrici grazie alla loro capacità di rendere disponibili elevate energie e potenze specifiche che hanno di fatto migliorato le prestazioni dei mezzi. Permangono però problemi relativi alla sicurezza ed al livello delle performance stesse. Come si indirizzano le vostre ricerche in quest’ambito?

Tutte le case automobilistiche che commerciano veicoli elettrici utilizzano batterie di ultima generazione a base di litio ioni. Le prestazioni di queste batterie dipendono da quelle dei materiali agli elettrodi che generano la corrente che alimenta il circuito esterno. Gli elettrodi per il sistema a litio ioni sono in genere costituiti da un ossido (elettrodo positivo) e da una grafite (elettrodo negativo).

Figura 2

Funzionamento (scarica) di una cella ricaricabile a litio ione

 

Il materiale più comunemente usato come elettrodo positivo nelle batterie per elettronica portatile (un composto chimico a base di cobalto, litio e ossigeno, LiCoO2) non trova applicazione in autotrazione a causa della tossicità del cobalto e della sua instabilità termica. Le strategie adottate sono due: la sostituzione parziale del cobalto con materiali meno pericolosi o l’utilizzo di altri composti chimici più stabili, in genere a base di manganese (LiMn2O4) o di fosfati di ferro (LiFePO4). Il nostro gruppo di ricerca ha progettato e realizzato materiali con la stessa struttura chimica (es. LiMn2O4) ma diversa forma (morfologia) in modo da superare le criticità legate all’utilizzo di questi sistemi. Si deve tenere presente che la maggior parte dei successi tecnologici di questi materiali è dovuta alla loro “nano-strutturazione“, cioè al controllo della loro forma intesa come dimensioni delle particelle e al loro rivestimento esterno. Tanto per dare un’idea, nella realizzazione degli elettrodi di LiCoO2 si utilizzano particolati con dimensione di 10 millesimi di mm, mentre con LiFePO4 si sono realizzate polveri formate da particelle di 50/100 nm (20/100 milionesimi di mm) uniformemente rivestite da 5 nm (5 milionesimi di mm) di carbone grafitico.

Figura 3

Schema di elettrodo positivo in celle a litio ferro fosfato. Il composito è costituito da particelle nanometriche (50/100 nm) di materiale attivo rivestite da uno strato di carbone che garantisce una migliore distribuzione degli elettroni senza bloccare lo scambio di ioni di litio con l’ambiente

 

Infine, il nostro gruppo di ricerca ha anche contribuito allo sviluppo di materiali per elettrodi negativi alternativi alla grafite per incrementare le densità di energia delle batterie. In questo ambito, abbiamo investigato in passato nano-strutture a base di silicio con elevate capacità e più recentemente ossidi inorganici a elevata stabilità.

 

Tra le alternative possibili al litio si parla spesso di tecnologie basate sul sodio. Può farci un quadro dei vostri studi in proposito e quali i risultati conseguiti?

La ricerca sul sistema a sodio ione nasce dalla necessità di superare le problematiche relative all’approvvigionamento di materie prime per il litio. Quest’ultimo, benché abbia una buona abbondanza naturale (si trova anche nell’acqua di mare) viene ottenuto a basso costo solo nelle regioni dei laghi salati del Sud America, in una zona nota come “triangolo del litio” tra la Bolivia, l’Argentina e il Cile. Questa elevata concentrazione di materia prima in una zona così circoscritta fa sì che il litio potrebbe diventare un materiale strategico, soprattutto se si pensa alle ingenti quantità necessarie nei pacchi batterie dei veicoli elettrici. Una stima del prof. Tarascon di alcuni anni fa (Nature Chemistry, vol 2,  giugno 2010) metteva in luce che la quantità di materia prima di litio estratta nel 2009 sarebbe bastata per la conversione di metà della produzione mondiale di automobili (circa 50 milioni) in “plug in hybrid” con un motore elettrico di 7 kWh.

Le strategie per superare questa problematica sono due: produrre sistemi al litio con maggior densità di energia (litio-aria o litio-zolfo) oppure convertire la tecnologia a litio ioni in quella a sodio ioni. Da alcuni anni, il nostro gruppo di ricerca si occupa di materiali elettrodici per il sistema a sodio ioni, un ambito di ricerca in cui abbiamo dimostrato come le prestazioni ottenibili siano molto simili a quelli del sistema litio. È un settore in rapida espansione, come evidenziato dall’incremento del numero di lavori negli ultimi anni.

I nostri studi, parzialmente finanziati dalla fondazione Cariplo e che si avvalgono anche di prestigiose collaborazioni internazionali, si sono quindi indirizzati per far luce sui meccanismi che sottendono al funzionamento degli elettrodi mettendo in luce le correlazioni tra la struttura, la forma e le prestazioni dei materiali.

 

In un futuro relativamente prossimo l’idrogeno dovrebbe, in virtù della sua alta densità energetica, assumere un ruolo primario tra le fonti di generazione di energia elettrica. Ciò implica l’ulteriore sviluppo della tecnologia delle celle a combustibile eliminandone le attuali criticità. Quali indirizzi state seguendo in merito e quali le possibili tempistiche di applicazione?

È un discorso molto complesso da affrontare. La tecnologia della cella a combustibile è da tempo matura in termini di prestazioni, anche se rimane un sistema molto costoso. Credo comunque che le maggiori criticità siano legate alla natura del combustibile stesso. Infatti le celle funzionano molto bene quando alimentate con idrogeno che però deve essere prodotto da combustibili fossili o per elettrolisi di acqua da fonti rinnovabili. Mancano inoltre infrastrutture per la sua distribuzione. Siamo quindi di fronte a un paradosso tecnologico: non avendo le celle larga distribuzione commerciale non si investe nelle infrastrutture, non esistendo infrastrutture dedicate non si investe in modo massiccio nella produzione delle celle, che rimangono applicazioni di nicchia. Uno dei vantaggi intrinseci nello sviluppo del full electric in autotrazione basato sulle batterie ricaricabili sta proprio nell’esistenza delle reti elettriche, che con modifiche relativamente poco costose costituiscono un’infrastruttura già esistente per la ricarica delle sorgenti.