Opel Ampera, da auto dell’anno a modello dimissionario: ecco i perché

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Opela Ampera - photo credit: marruciic via photopin cc
Opela Ampera - photo credit: marruciic via photopin cc
Opela Ampera – photo credit: marruciic via photopin cc

Non ci sarà una seconda Ampera per l’Europa. Mentre gli U.S. ne conosceranno la seconda generazione al salone di Detroit 2015, General Motors non proseguirà l’esperienza della berlina elettrica range extended con Opel e Vauxhall.

Auto dell’anno nel 2012, innegabilmente e tecnologicamente intelligente, sia per quel che riguarda la sua innovatività che per l’ecologicità del suo sistema propulsivo, le vendite asfittiche ne hanno decretato la morte prematura nel Vecchio Continente. Perché?

La domanda è legittima, dal momento che l’Ampera offre le zero emissioni della trazione 100% elettrica su tragitti medi, una riduzione dei consumi notevole in modalità mista e, se a corto di carica, la generazione di elettricità a bordo grazie al range extender tricilindrico, pur sempre meno inquinante ed esoso di un motore “vero”.

Niente ansia da autonomia, quindi (tra batteria e range extender si coprono anche 600 km), con consumi ed emissioni ai minimi: sulla carta, parrebbe la descrizione dell’auto perfetta.

In più, tra quanti l’abbiano avuta o provata, è difficile trovare giudizi negativi sulle sue prestazioni, a volte addirittura valutate superiori a quelle di modelli di fascia più alta.

Il giornale britannico Autocar, che ad esempio ha una Ampera nella sua flotta aziendale, ha cercato di indicare alcuni punti critici cui far risalire il flop sul mercato europeo.

Il primo e più evidente di tutti è il prezzo: le quasi 28,000 sterline britanniche (che scendono a 22mila con gli incentivi) fanno il paio con i quasi 50,000 euro necessari per acquistare una Opel Ampera in Italia. Decisamente troppo, anche per un’auto innovativa, gradevole ed accessoriata.

Di fronte a cotanto prezzo ecco allora assumere un peso rilevante alcune caratteristiche della vettura, di certo non ininfluenti sulla scelta per il cliente Europeo: l’omologazione a 4 posti invece che 5 (dovuta allo spazio occupato centralmente dal pacco batterie sotto al pianale), le dimensioni ridotte dei finestrini posteriori (così disegnati per ridurre le dispersioni termiche dell’abitacolo in favore di un minor consumo di energia) e la consolle centrale, touchscreen e forse un po’in anticipo sui tempi, almeno alla data di lancio nel 2011.

C’è poi un’altra considerazione che è senz’altro intelligente in quanto, a mio avviso, spiega molta della dinamica kafkiana che affligge i veicoli elettrici impedendo loro una diffusione naturale e serena.

In Europa, autorità comunitarie e case automobilistiche hanno improntato tutta la prima fase dell’elettromobilità, tra il 2010 ed il 2013, sull’unico argomento delle emissioni di CO2.

Come conseguenza naturale di un’ottica così semplificata e mistificabile, intorno alle vetture a propulsione elettrica ed ibrida plug-in si è scatenato un dibattito quasi ideologico fra guida ecologica senza compromessi e sostenitori della non competitività dei veicoli con la spina.

L’Ampera è stata investita in pieno da questa gazzarra, finendo per deludere i fan delle “zero emissioni” perché non puramente elettrica: volerla presentare come soluzione di svolta verso l’abbattimento dei gas inquinanti le è costato un ritorno di immagine più negativo che altro, offuscando la sua vera e valida natura di miglior compromesso attualmente possibile tra le prestazioni dei motori tradizionali ed i vantaggi dell’elettrico.

Il contesto europeo, in tutto ciò, si è rilevato una condizione al contorno non trascurabile.

C’è una fondamentale differenza tra Stati Uniti ed UE nella consapevolezza ambientale dei suoi cittadini: gli U.S. vengono da molteplici generazioni di indottrinamento sulla questione “inquinamento” ed hanno una tradizione, specie in alcuni Stati, di leggi estremamente rigide sulle emissioni nocive.

L’Europa, anche qui con diseguaglianze tra realtà nazionali, ha una popolazione generalmente poco consapevole delle alternative alla combustione dei carburanti fossili, in molti casi preferiti dalle politiche locali per via di legami economici ancora lungi dall’essere sciolti.

Ecco allora che le vere potenzialità di un’auto come la Ampera, forse, non sono mai state spiegate al grande pubblico, che ne ha così, inconsapevolmente, decretato la scomparsa.

Il Gruppo General Motors, in ogni caso, non pensa di mollare lo sviluppo delle auto elettriche: proprio per sostituire la Ampera, uno dei suoi Marchi (Chevrolet, Opel o Vauxhall) offrirà un nuovo modello 100% elettrico, tornando all’ottica della citycar e, con tutta probabilità, pensando alla seconda generazione della Spark EV.

Di base, la storia della Ampera e della sua omologa venduta da Chevrolet in America, la Volt, fa capire come sia stato commesso un’altro errore, se non altro di comunicazione.

Dalle auto elettriche si è preteso troppo e troppo presto. Al lancio della Volt nel 2011, GM dichiarò di aspettarsi un volume di produzione pari a 60,000 unità l’anno: a tre anni di distanza, l’auto ha venduto 65,000 esemplari complessivamente.

Un flop? Non proprio, dato che nel segmento USA delle ibride plug-in e range extended è superata solo dalla Toyota Prius Plug In e che è comunque la seconda auto elettrica più venduta di sempre dopo Nissan Leaf.

È un’ottima competitrice di un mercato attualmente di nicchia, destinato a crescere ma con i suoi tempi: dal 2010 ad oggi una parte degli Stati Uniti è diventata molto sensibile e favorevole agli EV nelle loro varie forme, portando una manciata di regioni a costituire un bacino di 250,000 guidatori di auto elettriche.

In Europa siamo fisiologicamente indietro di qualche anno, specie nel sud del continente. Sarebbe quindi ora che da un’esperienza come quella della Ampera si imparasse che, prima di voler riscuotere cassa, è necessario costruire prima un bacino d’utenza.

Senza questo presupposto anche la migliore idea del mondo rischia di impantanarsi fra pregiudizi ed incomprensioni.

 

 

 

Andrea Lombardo

Fonte: Autocar

 

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