Tesla Motors di nuovo da record in Borsa: miracolo o bolla esplosiva?

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photo credit: HenryFigueroa via photopin cc
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In America ormai l’hanno paragonata a Davide, il personaggio biblico: stiamo parlando di Tesla Motors, la start up che, dopo aver rifuso il proprio debito con il Dipartimento dell’Energia contratto per avere l’iniziale slancio, si è letteralmente proiettata in testa sia alle vendite di auto elettriche di lusso che ai profitti.

Inutile dire chi sia Golia: è la “vecchia” General Motors, il marchio dell’automobile made in USA più grande, con 105 anni di storia alle spalle e qualcosa come 450 milioni di auto prodotte.

La sua capitalizzazione in Borsa, al 26 settembre 2013, era di 54.8 miliardi di dollari americani. Nulla di strano, non in lei: è il “Davide” Tesla che allibisce investitori ed analisti capitalizzando, alla medesima data, 22.9 miliardi di dollari.

Tesla, ad appena dieci anni di attività sul mercato dell’auto, senza aver mai prodotto un solo veicolo a benzina e con 25,000 auto vendute circa, ha raggiunto un valore pari al 42% della più grande azienda automobilistica del Paese, una delle maggiori al mondo.

Senza nessuna pretesa di analisi borsistica, è chiaro che la notizia è comunque succosa. Quello di Tesla è un fenomeno singolare, senz’altro da ricondursi all’efficacia delle sue campagne di immagine ed agli ottimi giudizi ottenuti da esperti ed autorità di settore dai suoi modelli elettrici.

Ma gli Americani, giustamente, si chiedono quanto questo possa durare e quali siano le vere ragioni.

Da una parte c’è chi vuole vedere General Motors come una monolitica dittatura dell’auto che, a suo tempo, si lasciò sfuggire l’opportunità di diventare l’evangelista della mobilità elettrica soffocando dopo appena 1,400 esemplari la EV1, biposto elettrica (anni ’90) antesignana della Volt EREV.

Dall’altra, vari analisti di mercato pensano che Tesla possa rivelarsi una bolla di sapone, pronta a dissolversi nel momento in cui dovrà fare il salto di qualità per rispondere ad una richiesta di massa per i suoi modelli.

Certo è che Tesla, nel bene o nel male, riesce a far parlare di sé, innescando un meccanismo virale di comunicazione che probabilmente finisce per giovarle anche quando in cattiva fede. Opinionisti elettroscettici non le negano attacchi in TV e persino durante un’edizione di Fox Business a proposito del valore delle sue azioni in Borsa, sono state mandate in onda grafiche con prezzi della Model S fuorvianti.

Tanta “cattiveria” deriva dalla vera arma segreta (in realtà tranquillamente alla luce) di Tesla, che non sta nel numero di auto vendute – di per sé non competitivo con produttori del calibro di GM – bensì nella vendita dei crediti ambientali californiani guadagnati in eccesso ai Marchi che altrimenti si vedono minacciati dell’esclusione dal mercato più grande degli Stati Uniti.

Essendosi conquistata la pole position, la start up si è messa in una posizione che le consente di trarre profitto dall’inadempienza altrui, il che non è poco.

Certo, mentre gli speculatori ed uno stuolo di investitori seguaci del carisma di Elon Musk, CEO dell’azienda, seguono le vicende del marchio di di Palo Alto con morbosa attenzione sperando nel miracolo borsistico, bisogna anche ridimensionare un minimo la faccenda.

Di fronte al valore in Borsa di Toyota (209.1 miliardi di dollari), Volkswagen (79.4 miliardi di dollari) e Ford (69.3 miliardi di dollari), Tesla ha parecchia strada da compiere.

Il dubbio che però, non dovesse trattarsi di una bolla, la crescita di Tesla rappresenti una proiezione di quel che sarà il futuro dell’automobilismo, rimane.

 

 

Andrea Lombardo

Fonti: TheCristianScienceMonitor, AutoblogGreen

 

4 COMMENTS

  1. […] A volte, anche i primi della classe sbagliano. È quanto sarebbe successo al notissimo Wall Street Journal, reo di aver pubblicato un articolo basato su proiezioni di vendita inaccurate a proposito di Tesla Motors, l’azienda automobilistica elettrica americana che da un paio d’anni a questa parte attira su di sé l’interesse di molti speculatori. […]

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