Auto elettriche ed inquinamento, ecco perché le critiche non hanno senso

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photo credit: wetwebwork via photopin cc
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Le auto elettriche sono indicate da sempre più parti come l’unica vera alternativa per un trasporto ecosostenibile in quanto sinonimo di “zero emissioni” inquinanti. Ma è proprio così?

I botta e risposta tra fautori e detrattori di questa tecnologia sono quasi all’ordine del giorno, spesso ascrivibili a lotte intestine di mercato più che ad autorevoli pareri scientifici.

Proprio in questa bagarre che contribuisce a mistificare i reali pro e contro dell’adozione della mobilità elettrica si inserisce un articolo apparso su Switchboard, il blog dell’NRDC (Natural Resources Defense Council) statunitense, i cui contenuti delineano un insieme completo di risposte al quesito di partenza.

Ancor prima di entrare nel merito della questione va detto che la maggior parte delle parole che si spendono attorno alla ecologicità ed alla convenienza delle auto elettriche non sono nella maggior parte dei casi supportate da alcun tipo di prova scientifica; non che questo articolo abbia la pretesa di averne ma vuole, se non altro, riportare osservazioni provenienti da uno scenario che si trova a vivere uno stadio più avanzato di quello italiano sulla mobilità “a zero emissioni”.

Entrando nel merito delle emissioni nocive imputabili alle vetture con motore elettrico, la critica dominante è che quanto non viene immesso nell’atmosfera durante l’utilizzo di questo tipo di veicoli sia abbondantemente compensato dalle emissioni dovute alla produzione di energia elettrica necessaria per alimentarli. Il secondo capo d’imputazione prende invece di mira il ciclo di vita di queste auto, con particolare attenzione per l’energia impiegata nella produzione delle batterie agli ioni di litio (a partire dalla lavorazione del litio stesso) e per il loro successivo riciclo.

I testi scientifici e gli articoli che ormai giungono sistematicamente a determinare che le auto elettriche rappresentano la scelta più ecocompatibile sul mercato si susseguono, a partire, paradossalmente, proprio da quello studio norvegese che i detrattori prendono a fondamento delle proprie critiche. La ricerca, uscita nel 2012 a marchio Hawkins, valutava in maniera severa le emissioni legate al processo produttivo di veicoli e batterie, salvo poi essere corretto dopo la pubblicazione ridimensionando i valori di emissioni stimati ed alzando il benefit ascrivibile all’utilizzo di un’auto elettrica. Un altro studio, questa volta nato ad uso interno nel 2011 e pubblicato solo quest’anno da Renault, valuta in parallelo l’impatto ambientale del ciclo di vita della Fluence nelle diverse motorizzazioni, compresa quella elettrica: il risultato incorona anche in questo caso la versione a zero emissioni e non si dovrebbe sospettare che si tratti di un parere fuorviante dato che si trattava di una ricerca interna dell’azienda.

In quanto all’inquinamento generato dalla produzione dell’energia elettrica, l’articolo postato sul blog dell’NRDC lo bolla come spauracchio inesistente: l’EPA, l’agenzia statunitense che si occupa della protezione dell’ambiente, fornisce on line un calcolatore che chiarisce le emissioni di CO2 per chilometro stimate per le diverse vetture elettriche sulla base dei sistemi di produzione dell’elettricità nei diversi Stati americani. Considerando il crescente mix di fonti rinnovabili che integrano le vecchie risorse nucleari e fossili, le emissioni di CO2 al chilometro di un’auto alimentata ad elettricità sono in media dimezzate rispetto a quelle dei veicoli tradizionali, addirittura un quarto in quegli Stati come la California che ricorrono all’energia pulita in percentuali massicce.

E, giusto per prevenire la tipica critica tricolore, l’Italia stessa ha incrementato la percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili arrivando nel primo semestre del 2013 al 41% con punte oltre il 50% nel bimestre maggio-giugno (dati provvisori TERNA).

L’NRDC stesso ha pubblicato in passato un testo assieme all’Electric Power Research che stimava l’impatto ambientale di un eventuale passaggio in massa all’utilizzo della mobilità elettrica con beneficio per la qualità dell’aria, mentre negli ultimi anni negli States sono state adottate misure anti inquinamento obbligatorie per le stesse centrali di produzione a carbone.

Sul versante della produzione di un veicolo elettrico, questa sì, allo stato attuale richiede più risorse che produrne uno tradizionale. Attenzione però a non fare paragoni improponibili: quello che penalizza l’efficienza dei processi produttivi di un’auto elettrica è il deficit di rodaggio che essi pagano in confronto ai cento e più anni di affinamento che l’industria automobilistica convenzionale ha sulle spalle. Con l’affermazione e la crescita numerica del mercato elettrico, la manifattura perfeziona i propri metodi: migliorare l’efficienza e diminuire gli sprechi energetici vuole dire guadagnare soldi (basti pensare al largo impiego di pannelli solari nell’alimentazione di molti impianti di diversi Marchi automobilistici).

Malgrado il maggiore inquinamento provocato durante la fabbricazione, i diversi studi in circolazione stimano comunque che un’auto elettrica mantenga un margine di vantaggio sulle emissioni un’endotermica oscillante tra il 28% ed il 53% grazie alle “zero”, o quasi, emissioni durante la guida.

Infine, la lente si sofferma sulle materie necessarie alla produzione dei pacchi batteria.

Diverse ricerche citate dall’articolo dell’NRDC affermano che la disponibilità del litio sarebbe sufficiente a coprire il fabbisogno dei prossimi cento anni anche ipotizzando un passaggio globale alla mobilità elettrica. Inoltre, le previsioni sui costi delle batterie sono ottimistiche, mentre i sistemi di sinterizzazione del litio stesso sono in rapida evoluzione.

Non è poi da dimenticare che, sebbene non ancora diffuso nella mentalità delle persone, le aziende che si occupano di distribuire l’elettricità e di fabbricare dispositivi di accumulo sono consce dell’enorme potenzialità che i pacchi batterie riciclate dai veicoli rappresentano. Con una funzionalità residua recuperabile dell’80% circa, questi possono proseguire la loro esistenza prestando servizio come accumulatori di supporto per le abitazioni o per la rete di distribuzione urbana, costituendo un sistema di redistribuzione e conservazione dell’energia disponibile senza costosi investimenti infrastrutturali di altro tipo.

Dopo il reimpiego viene comunque anche il riciclo, campo nel quale l’industria automobilistica è una delle più efficienti con il 95% dei componenti impiegati sistematicamente recuperati: secondo l’EPA, il riciclo delle sole batterie al piombo acido raggiunge punte del 96%, mentre il riciclo delle batterie al litio può portare a dimezzarne l’impatto ambientale secondo l’Argonne National Laboratory.

 

 

Andrea lombardo

Fonte: SWiTCHBOARD Natural Resources Defense Council Staff Blog