Car sharing ed auto elettriche: ecco come BlueIndy sta cambiando la società di Indianapolis

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La mappa dei punti di prelievo BlueIndy ad Indianapolis - Screenshot da blue-indy.com
La mappa dei punti di prelievo BlueIndy ad Indianapolis – Screenshot da blue-indy.com

Dopo tre mesi di servizio, sono mille gli utenti abbonati: uno dei programmi di car sharing più giovani degli Stati Uniti sta riscuotendo un rapido successo è già si parla di come mutino i costumi delle persone in relazione ai trasporti urbani.

Il cuore di BlueIndy sono le auto elettriche, quelle stesse BlueCar con le quali il Gruppo Bolloré si è affermato in Francia, anche agli occhi delle gente comune, come riferimento in un panorama automotive alternativo. Suo è infatti Autolib’, il car sharing parigino che rapidamente ha conquistato l’utenza di una delle capitali più pretenziose d’Europa, estendosi poi a Lione e poi ancora a Bordeaux.

Indianapolis è il secondo step: l’America. Capitale dell’Indiana, è nota per la corsa automobilistica ed è la dodicesima città degli USA, con una popolazione residente di poco inferiore ai 900mila abitanti ed un’area metropolitana che tocca i due milioni di anime.

Centoventi utilitarie elettriche non parrebbero in grado di sconvolgerne le abitudini, eppure sembra proprio che la scommessa dei Francesi stia dando frutti insperati: 1000 iscritti in 90 giorni sono infatti considerabili una prima vittoria.

 

La seconda si gioca sul piano della comunicazione: l’uscita sui media americani di articoli che puntano l’accento sulla trasformazione dei costumi in atto possono valere ben più che uno spot pubblicitario.

Senz’altro testimoniano un fenomeno, certificandone l’esistenza, al contrario di quanto normalmente avviene nelle realtà alle quali siamo abituati, ad esempio, in Italia.

Non è quindi un caso che, dalle testate delle 4 ruote ai blog che parlano di trasporti sostenibili, inizino a girare le esperienze, i “casi studio”, di quelle persone che preferiscono la condivisione dell’auto quando non il suo abbandono in favore di una sinergia fra mezzi accomunati dall’essere sgravati dal peso della proprietà.

 

Cambio d’abitudini si diceva: nella motorizzata Indianapolis pare si moltiplichino i casi di quanti, fra bike sharing, car sharing, mezzi pubblici tradizionali, Uber e altre forme simili, ritengono secondaria l’idea di possedere un’auto.

Quando la mancanza del veicolo privato si fa sentire, come in occasione di appuntamenti particolari o di condizioni climatiche avverse, il noleggio dell’auto elettrica è percepito come un buon surrogato.

In particolare, tutti mettono l’accento su un aspetto fondamentale connaturato a queste scelte: un diverso stile di vita che si rispecchi nei trasporti e la possibilità di scegliere tra forme di mobilità diverse migliorano la qualità di vita stessa.

 

Fuori dal campo delle opinioni alcuni numeri sono significativi: mille utenti di BlueIndy hanno effettuato un volume di circa 7,000 corse in 3 mesi. Con il passaggio del car sharing dalle 120 unità attuali a 500 vetture, è stato calcolato che, in proporzione, saranno 5,500 le auto private tolte dalla bagarre del traffico quotidiano.

L’abbonamento annuale al servizio BlueIndy costa $9.99 al mese (€9), cui si sommano 4 dollari per i primi 20 minuti di ogni corsa, dopodiché 20 centesimi al minuto. Secondo uno studio redatto da AAA, il costo annuale di possesso e mantenimento di un veicolo che percorra sui 25mila km annui è negli Stati Uniti di circa 8,700 dollari: considerando che molte famiglie di norma posseggono due auto, questo costo va raddoppiato, costituendo, qualora abbandonata l’opzione del mezzo privato, una possibilità di risparmio pari a circa 17,400 dollari (tra i 15,000 ed i 16,000 euro grosso modo).

Secondo alcuni, la comunità di utilizzatori di BlueIndy risparmierebbe complessivamente oggi, anche considerando le spese per gli altri tipi di trasporto, qualcosa come 24 milioni di dollari l’anno.

 

Lanciato lo scorso settembre, il car sharing elettrico di Indianapolis è stato accolto inizialmente da dubbi riguardanti i forti investimenti richiesti alla città per l’infrastruttura di ricarica e per la sottrazione di posti auto proprio per fare spazio agli stalli di rifornimento.

Tuttavia, il boom degli iscritti pare ribaltare positivamente la situazione: la sorte dei car sharing, malgrado le potenzialità, è tutt’altro che certa ed il nostro Paese ne è una dimostrazione.

A macchia di leopardo essi hanno sinora avuto alterne fortune anche negli stessi USA, dove contemporaneamente prospera Car2Go di Daimler e soccombe invece DriveNow di BMW: le cause sono molteplici e variegate, ma assenza del dovuto supporto infrastrutturale (parcheggi e ricarica, nel caso di veicoli elettrici) e scarsa educazione a quello che è un cambiamento culturale nel modo di spostarsi, sono le due discriminanti che pesano sulla sorte dei car sharing.

 

 

 

 

Andrea Lombardo

Fonte: Autoblog