Immaginate una città dietro le cui facciate si nascondono enormi batterie: riuscite ad intuire quale risvolto pratico avrebbe disporre di ingenti riserve di energia localizzate in ogni edificio? Fate un atto di fede, per il momento, e lasciatevelo dire: significherebbe un risparmio economico ed ambientale per tutta la società.
Protagonista della nostra attenzione non è direttamente la mobilità elettrica ma un campo per essa fondamentale come quello dell’Energy Storage (letteralmente “Accumulo di Energia”), vero trait d’union fra trasporti a zero emissioni, Smart Grid ed energie rinnovabili.
Lo scenario che prenderemo ad esempio per definirne le potenzialità è lo skyline di New York, che, ultimo ma non primo, ospita un’ambizioso progetto: è infatti fra i grattacieli di Manhattan che si cela CellCube, una “gigabatteria” al vanadio prodotta dalla tedesca Gildemeister e perfettamente inserito all’interno di uno di essi.
Più precisamente, ad ospitarla è l’intero 25esimo piano del numero 2 di Broadway, generalmente noto come quartier generale della New York Metropolitan Transit Authority, l’azienda che gestisce i trasporti nella Grande Mela ed una delle principali consumatrici di elettricità della megalopoli.
Lo scopo di CellCube sarà rendere palese quanto convenga immagazzinare energia elettrica nelle fasce orarie nelle quali la rete è sottoposta a minor sforzo, di solito le stesse in cui costa meno, per poi averla a disposizione nei momenti di necessità.
Necessità che può essere quotidiana, come nel caso dei consueti picchi di richiesta nelle fasce centrali della giornata, o eccezionale, per esempio in caso di instabilità della fornitura.
Pur essendo quella immagazzinata da CellCube tutta energia proveniente dalla rete (non c’era spazio per abbinarvi un sistema di produzione dell’elettricità da fotovoltaico), il semplice fatto di rispondere ai picchi di richiesta con l’energia precedentemente accumulata a basso prezzo costituisce un enorme sgravio per la rete di produzione, altrimenti costretta a far entrare in funzione centrali suppletive normalmente molto onerose.
I vantaggi non si fermano però qui: se l’Energy Storage fosse regolarmente impiegato su scala urbana, la miglior gestione dell’energia che rende possibile eliminerebbe addirittura la necessità di costruire nuove centrali per sopperire ai bisogni crescenti delle città.
Gestire meglio l’energia che già si produce porterebbe quindi ad enormi risparmi: l’integrazione di veicoli elettrici e fonti rinnovabili chiuderebbe poi il cerchio.
Queste ultime sono intuitivamente subito collegabili all’Energy Storage che, qualora traesse la propria fonte da una produzione a costo ambientale ed economico pari a zero, assumerebbe le sembianze di una vera e propria fonte di ricchezza energetica.
I veicoli elettrici, invece, sono elemento basilare e complemento al tempo stesso di un tale ecosistema: presupponendo città i cui edifici disperderanno sempre meno energia e saranno sempre più autosufficienti, servite da reti di distribuzione sempre più basate sulle fonti rinnovabili, tutto quanto si sposti su gomma può diventare a sua volta una riserva di energia mobile.
I progetti, realizzati non solo sulla carta (dall’esercito degli Stati Uniti, per esempio, o dall’Università del Delaware), che applicano Vehicle-to-Grid e Vehicle-to-Building non sono che una delle bambole più piccole di questa matrioska energetica configurata dal duplice avvento di Smart Grid e mobilità elettrica.
L’Energy Storage è quindi un chiaro modo per sfruttare meglio l’energia che produciamo o per evitare di doverne generare in eccesso ma risponde anche ad una parte dei dubbi sul ciclo di vita delle batterie agli ioni di litio, mai prodotte in quantità tali come le odierne.
Proprio nei sistemi di accumulo off grid le batterie che sono esauste per una vettura possono trovare una seconda vita prima di venire riciclate, allungando così il proprio ciclo vitale di diversi anni.
Tornando al progetto della NY MTA, esso dimostrerebbe però una strada alternativa agli ioni di litio: CellCube è costituito da flow batteries che usano il vanadio, metallo di cui gli USA sono importatori ma che proprio uno degli sponsor del progetto, American Vanadium, intende iniziare ad estrarre in Nevada.
Al là degli interessi politici e commerciali, le flow batteries al vanadio vantano una minor degradazione nel tempo degli elettrodi per la presenza di un solo metallo (con un ciclo di vita mediamente sui vent’anni senza perdite di capacità) e una maggior scalabilità; in parole povere, a parità di volume a disposizione si possono collocare molte più flow batteries al vanadio che non unità agli ioni di litio.
Il CellCube di New York, oltre che della MTA e di American Vanadium, ha smosso l’interesse del Berkeley National Laboratory, di ConEd (principale fornitrice di elettricità della Grande Mela), della New York State Research and Development Authority, del New York City Transit Office of Strategic Innovation and Technology, e dell’Advanced Research Technology Center (AERTC) di Stony Brook.
Se la sua realizzazione può aprire la strada all’Energy Storage in quel di New York, il suo esempio può servire almeno a chiarire l’importanza della rivoluzione elettrica anche alle nostre latitudini.
Andrea Lombardo
Fonte: CleanTechnica
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