Non sappiamo se il concept Me.We. di Toyota diventerà una vettura di serie. L’unica certezza è che la casa automobilistica giapponese sta sperimentando soluzioni decisamente innovative per la mobilità sostenibile. Presentata ieri al Le Rendez-vous Toyota di Parigi alla stampa tecnica italiana, la Me.We. si candida infatti a diventare una delle elettriche più green e, secondo la vision del progettista – l’architetto francese Jean-Marie Massau – di grande esperienza sensoriale.
La concept car è infatti realizzata con materiali dal touch molto particolare. La pannellatura esterna, che sostituisce la carrozzeria tradizionale e si presta a una personalizzazione senza limiti, è in Arpro di JSP, un polipropilene espanso riciclabile al 100% oltre che resistente e leggero, mentre le parti interne e il pianale sono in bamboo.
Sebbene di ispirazione minimalista, la vettura è capace di adattarsi alle diverse esigenze dello stile di vita contemporaneo. Vista la logica costruttiva modulare con cui è concepita, da city car può trasformarsi facilmente in pick-up, cabriolet o fuoristrada. Lo spazio dell’abitacolo è molto ampio perché i bagagli possono essere posizionati sul tetto, grazie a una copertura in neoprene, mentre il divano posteriore può essere ripiegato per ottenere un vano interno, oppure rimosso e utilizzato come tavolo da campeggio.
Con un peso complessivo di 750 kg, di cui soltanto 14 kg per la carrozzeria, la Me.We è perfetta per la propulsione elettrica, con motori elettrici integrati nelle ruote, una soluzione già utilizzata da Toyota per lo scooter i-Road a tre ruote, e con batteria sotto il pianale. Una tale leggerezza lascia tutto lo spazio necessario per l’inserimento del climatizzatore e dei dispositivi di sicurezza tradizionali, ai quali si aggiungono i plus dell’espanso di rivestimento che, grazie alla sua grande capacità di assorbire gli urti e alle sue proprietà elastiche, può uscire indenne dalle piccole ammaccature del traffico quotidiano. Particolare che non fa certo la felicità dei carrozzieri.
Nicoletta Boniardi
Quest’articolo è apparso originariamente su Plastix il 17 maggio 2013.