Una delle correlazioni più interessanti e meno note che riguardano la mobilità elettrica è la sua integrazione con i sistemi di distribuzione e produzione dell’energia che arriva nelle nostre case. Più in generale, con l’energia elettrica e la sua gestione.
Se produrla, infatti, può essere fonte d’inquinamento ed è senz’altro dispendioso in ogni caso, gestirla e distribuirla non è affare semplice: un po’ come le reti idriche, anche quelle elettriche hanno a che fare con dispersioni, sprechi ed obsolescenze varie.
Il potenziamento della ricerca sulla mobilità elettrica ha nell’ultimo decennio portato alla ribalta una via parallela a quelle già note per la gestione dell’elettricità: contemporaneamente al bisogno di aumentare la percentuale di fonti rinnovabili utilizzate, si può pensare anche ad immagazzinare l’energia elettrica prodotta in eccesso per un suo successivo uso.
Tenere l’energia nel cassetto, a portata di mano per i momenti in cui la richiesta ha delle impennate, non è un’idea stupida: per farlo occorrono però delle batterie molto capaci, proprio come quelle utilizzate nel settore automobilistico.
Le opzioni diventano quindi due: quella dell’integrazione diretta dei veicoli elettrici nelle reti di distribuzione, magari domestiche, e quella della costruzione di specifici depositi per l’energia elettrica, dei “mega pacchi” di batterie che conservino tutta quella che al momento non viene consumata.
Negli Stati Uniti la solita avanguardista California è data come la nazione le cui aziende si stanno distinguendo proprio in questo settore; Navigant Research, citata anche da GreenCarReports, attesta che nello Stato americano più dell’80% delle applicazioni nel comparto dell’energia nel 2012 si sono concentrate sui sistemi di conservazione più che su quelli di produzione. La California, promotrice di una delle legislazioni più severe sulla riduzione delle emissioni di gas serra, da questo punto di vista vanta anche un altro importante punto di partenza, vale a dire un già vasto impiego di energia da fonti rinnovabili.
Produrre energia da fonti pulite (solari ed eoliche su tutte) in una buona percentuale è anche uno degli obiettivi messi nero su bianco dalla Comunità Europea per il 2020 – l’Italia dovrebbe raggiungere almeno il 17% di energia pulita sul totale; non sprecarne e trarre profitto da quella immessa nella rete porterebbe un ulteriore beneficio.
I veicoli elettrici in questo possono avere un ruolo importante, sia facendo avanzare lo sviluppo di batterie adatte anche ad essere destinate per l’immagazzinamento off-grid, sia come protagonisti diretti.
Grandi batterie che raccolgano e conservino l’elettricità inutilizzata (magari quella prodotta in più da pannelli solari privati) per renderla subito disponibile quando serva, ad esempio in caso di black out (ricordarsi sempre delle calamità naturali che puntualmente ci colgono impreparati) sono la via maestra che le utilities statunitensi stanno esplorando.
Ma, soprattutto nel campo del privato, lo stesso veicolo elettrico, quando è connesso per la ricarica alla rete domestica, può servire come batteria di scorta per l’edificio stesso: non a caso una delle idee che molti produttori automobilistici stanno affinando è proprio la vendita non più solo del mezzo di trasporto ma di un pacchetto di servizio per la gestione dell’energia. La visione futura della mobilità elettrica dovrebbe sempre più legarsi alla produzione di energia elettrica da pannelli solari o piccoli impianti eolici e basarsi sul suo continuo scambio tra veicolo, unità di conservazione e rete domestica, a seconda del bisogno.
Un altro ruolo fondamentale possono averlo le stazioni di ricarica per auto elettriche. Prendiamo ad esempio un altro nome americano, Tesla Motors, e la sua rete di ricarica per i proprietari di Tesla S, il Supercharger Network. Al di là della pervicacia con la quale l’azienda persegue i suoi obiettivi (mentre quasi dovunque il ritornello che si ascolta è che, finchè non ci saranno infrastrutture, vendere auto elettriche sarà difficile, Tesla dice: “Compra la mia auto elettrica, le stazioni di ricarica nel paese le metto io e solo per te”) queste stazioni che contano una serie di stalli di ricarica per le Tesla S sono coperte da una pensilina fotovoltaica. Non sono certo le uniche, offerte simili sul mercato ce ne sono molte (le abbiamo anche in Italia, fatte da Scame Parre, per citarne una) ma sono un esempio funzionante di come si possa produrre, conservare ed usare solo al momento giusto l’energia elettrica.
Infatti, i pannelli sulla copertura producono più energia di quella stimata per la ricarica dei veicoli durante la giornata: la rimanente non viene resa alla rete ma tenuta da parte; questo sistema ha due evidenti utilità: copre eventuali extra richieste e rende autonoma la stazione dalla rete elettrica urbana in caso di problemi nella fornitura.
Per quel che riguarda l’uso di batterie per costituire grandi depositi di energia (domestici o pubblici) in supporto alla rete di distribuzione di isolati o edifici, questo può essere un’ottima occasione per riciclare quelle dei veicoli elettrici.
General Motors, assieme ad ABB, testa da tempo il riuso dei pacchi batterie delle auto elettriche (inutilizzabili per un veicolo quando la loro prospettiva di vita non è ancora esaurita) all’interno di sistemi da integrare nelle reti elettriche per lo storage off-grid.
Sono tutte strade da non sottovalutare: quello che una volta era possibile solo sfruttando la caduta comandata dell’acqua dai bacini idrici, ossia la produzione di energia elettrica da una fonte naturale su richiesta, oggi è possibile farlo con i pannelli solari ed un sistema di immagazzinamento domestico. In prospettiva, quando le condizioni lo consentano, un privato cittadino può puntare a minimizzare il suo bisogno di energia da acquistare dalla rete.
Non male no?
Andrea Lombardo
Fonti: GreenCarReports, NavigantResearch